Cronologia:
1850-1852

Committente/Progettista:
Impero absburgico; FM. J. Radetzky (Comandante d’Armata) / colonnello Johann von Hlavaty (direttore dei lavori di fortificazione di Verona); maggiore Conrad Petrasch (direttore della Genie Direction di Verona).

Proprietà:
   Demanio dello Stato. In concessione alla Cooperativa Sociale “Verona Territorio”.

Descrizione:
  Grande forte a tracciato poligonale (sistema poligonale misto della scuola fortificatoria neotedesca), con ridotto centrale e ridotto di gola. Impianto simmetrico a lunetta con fianchi divergenti verso il fronte principale, dotati di spalle arrotondate (a forma di orecchione) verso il fronte di gola, perfettamente rettilineo.
   Il forte, situato presso la riva fluviale, concludeva il primo campo trincerato a destra d’Adige, a oriente.

   Faceva sistema, sulla destra, con il Forte Porta Nuova e con la Torre Tombetta, sulla riva sinistra con il Forte San Michele. Tuttavia era prevalentemente concepito come caposaldo autosufficiente, in posizione dominante sul ciglione (rideau) di Santa Caterina, il cui terrazzamento chiudeva verso sud-ovest la grande ansa fluviale di San Pancrazio.

   La principale funzione del forte, già stabilita da Scholl, consisteva nella difesa indiretta del ciglione di Santa Lucia-San Massimo. Era infatti ordinato come testa di ponte offensiva per le sortite operate da unità di combattimento, predisposte sulla riva sinistra, e condotte attraverso il ponte da guerra, sulla riva destra, sotto la protezione del forte. Radunati nel grande trinceramento annesso al fronte di gola, a formare una piazza d’armi tra il forte e la riva dell’Adige, i reparti, non visti sino a quel momento, avrebbero intrapreso sortite offensive contro il fianco del nemico, diretto verso il rideau di Santa Lucia.

   Le sue artiglierie esercitavano un esteso dominio sulla campagna circostante. Sulle opposte rive battevano il Campo del Matto (Basso Acquar), il Campo Marzo, il ponte della ferrovia (1851), i dintorni di Tombetta, Tomba, Palazzina, le strade per Legnago e Zevio; con le artiglierie del fronte di gola batteva l'ansa di San Pancrazio, la scarpata del ciglione di Santa Caterina, e le opposte bassure di sinistra d’Adige, verso la stazione di Porta Vescovo (1847).

   Anche dopo la costruzione della linea avanzata del secondo campo trincerato (1861), il forte mantenne una speciale importanza difensiva, rispetto alla doppia ansa fluviale di Campo Marzo-San Pancrazio. Durante la guerra del 1866 il forte era completamente armato.

   Dal complesso progetto di Franz von Scholl per i tre forti della grandiosa testa di ponte di Santa Caterina, elaborato negli anni 1834-1838, Johann von Hlavaty dedusse il progetto più economico per un singolo grande forte, nel quale erano riassunti i compiti funzionali e le disposizioni architettoniche del disegno originario. Il progetto di Hlavaty viene poi realizzato negli anni 1850-1852, sotto la direzione di Conrad Petrasch, in quegli stessi anni progettista del celebre Arsenale d'Artiglieria della Campagnola e del Forte Chievo.

   Il Forte Santa Caterina era una complessa macchina, accuratamente studiata nell’aspetto tattico, realizzata con maestose forme architettoniche. Nel suo insieme la disposizione del forte rispondeva al criterio della compartimentazione dell’opera, a settori isolabili, per la sicurezza e la difesa progressiva.
   Il forte era diviso al suo interno in quattro parti, separate da fossi asciutti di sicurezza (fossi diamante). Si distinguono: l’opera principale di combattimento formata dal terrapieno con le postazioni d'artiglieria e dal piazzale interno, i due orecchioni di fianco, il ridotto.

   Dal fronte di gola, rivolto verso l’Adige, si accedeva al forte attraverso quattro portali bugnati, ad arco, con ponte levatoio. I due portali più interni comunicavano con la grande corte del ridotto casamattato, composto di due parti. Verso il centro dell’opera è collocato il ridotto principale, su impianto arcuato, derivato per estensione dalla torre circolare per artiglieria con corte centrale. Si eleva su un solo piano, con copertura terrapienata, ordinata per l’artiglieria a cielo aperto. Alle postazioni si accedeva, dal cortile, per mezzo di una lunga rampa mediana, retta da archi. Anche il piano terra, oltre ai ricoveri per la guarnigione e a due polveriere, era ordinato per l’artiglieria in casamatta.

   Le opposte testate del ridotto erano collegate da corpi rettilinei minori al fronte di gola, nel mezzo del quale si protendeva all'esterno il ridotto secondario, o ridotto di gola. Anch’esso si eleva su un solo piano, con copertura terrapienata; conteneva i ricoveri per la guarnigione, una polveriera, ed era ordinato per le artiglierie in casamatta.

   Dalla corte del ridotto, attraverso portali e ponti levatoi, si passava alle due corti laterali, direttamente accessibili anche dall’esterno attraverso gli altri due portali, con ponte levatoio, inseriti nel fronte di gola.
   Dalle corti laterali si accedeva alle corti degli orecchioni, ulteriormente separate dal muro di sicurezza a feritoie. Anche gli orecchioni, concepiti come estensioni del ridotto e come caponiere, si elevano su un solo piano, con duplice ordine di fuoco: sulla copertura terrapienata, per fucilieri e artiglierie occasionali; nelle casamatte, al piano terra, per le artiglierie di fiancheggiamento, ossia di difesa ravvicinata. Nei locali voltati, oltre ai ricoveri per la guarnigione era prevista la polveriera.

   Usciti dalle corti laterali, ancora attraverso portali e ponti levatoi, si supera il grande fosso, anteposto al ridotto principale, che divide il forte interrompendo, sui fianchi, anche il terrapieno. Si accede al vasto piazzale interno avviluppato dall'opera principale di combattimento: il terrapieno con il ramparo e le postazioni di artiglieria in barbetta. Al livello delle postazioni di combattimento, la continuità tra terrapieno e orecchioni era assicurata da ponti di legno, rimovibili, posti sul fosso divisorio interno.
   Sul saliente centrale sporgeva la caponiera casamattata per il fiancheggiamento del fosso esterno, provvista di cannoniere e feritoie per fucilieri. Vi si accedeva dalla poterna mediana (sulla capitale), alla quale erano annesse polveriere e due rami di gallerie per fucilieri, destinate a integrare l’azione della caponiera dalle facce del saliente retrostante.

   La vastità dell’opera, e il suo numeroso presidio, richiedevano adeguate riserve d’acqua. In diverse posizioni erano collocati cinque pozzi: sotto la rampa del ridotto principale, un pozzo a doppia canna; due pozzi nelle corti degli orecchioni; due pozzi nel piazzale interno, in prossimità del terrapieno.
   L’opera era completata dal fosso asciutto perimetrale, nel quale domina l’alto muro di scarpa, che riveste il terrapieno. La controscarpa del fosso è di terra a pendenza naturale; muri di rivestimento sono inseriti solo in corrispondenza della caponiera e degli orecchioni. Sul fronte principale, e sui fianchi dell’opera, lo spalto raccorda discendendo il ciglio della controscarpa al piano naturale di campagna.

   All'esterno del fronte di gola, sino al canale delle Seghe, derivato dall’Adige, due linee trincerate campali, di sola terra, delimitavano la vastissima piazza d’armi per la raccolta delle unità di combattimento, provenienti dalla riva sinistra. Le sortite controffensive potevano essere condotte attraverso due varchi laterali del trinceramento, oppure dal fosso del forte, risalendo le rampe predisposte davanti agli orecchioni.

   Il Forte Santa Caterina era l’opera più complessa e grandiosa tra le molte edificate nel famoso Quadrilatero absburgico. La sua architettura riassume la tecnica e l’arte fortificatoria di Franz von Scholl. Nelle parti ancora conservate risalta la qualità del taglio della pietra, particolarmente nei paramenti di tufo a opus poligonale, che rivestono le sue potenti strutture. Paramenti rustici, con apparecchio a corsi di ciottoli reclinati, secondo la tradizione costruttiva scaligera, rivestono i muri di controscarpa della caponiera e degli orecchioni.

   La sua denominazione iniziale deriva dalla cappella dedicata alla santa senese, preesistente presso l’antica strada che dal cinquecentesco Lazzaretto di San Pancrazio conduceva a Porta Nuova. Il forte venne poi ufficialmente intitolato al barone Heinrich von Hess (1788-1870), generale d’artiglieria e Capo di Stato Maggiore nell’armata di Radetzky.

Armamento: 2 cannoni da 9,5 cm ad avancarica con anima rigata

 

29 cannoni ad avancarica con anima liscia
  2 mortai da 24 cm
Presidio di guerra: 525 fanti
  100 artiglieri
Presidio di emergenza: 660 uomini
Riserve di munizioni: 520 barili di polvere da 112 kg
(dati anno 1859)  

Stato di conservazione:
   Nel periodo tra le due guerre mondiali, ancora in uso all’esercito, il forte era utilizzato come campo scuola per l’addestramento dei minatori. Così, con le ripetute operazioni di mina, il forte è stato parzialmente smantellato. Gravi danni ha subito anche per l’esplosione di un deposito di munizioni, avvenuta alla fine della seconda guerra mondiale. Cessato l’uso militare della struttura fortificata, dopo un periodo di abbandono, negli anni Settanta, il forte - con la sua vasta pertinenza esterna - è stato usato come pista da motocross. Ciò ha prodotto ulteriori danni e manomissioni. Il forte è stato poi completamente abbandonato. Totalmente incustodito è divenuto preda di vandalismo, di danneggiamenti, di usi e di occupazioni incongrue, e dell’invasione della vegetazione spontanea.

   Sono state demolite le seguenti opere: parte del ridotto principale (1/3), le sue ali di collegamento al fronte di gola, e parte della rampa per le artiglierie; tratti del fronte di gola con i quattro portali d’ingresso, parte della poterna e la caponiera; completamente spianato il trinceramento esterno anche in seguito alla rettifica del corso dell’Adige (fine Ottocento). Tuttavia, ciò che rimane del forte permette di immaginare il suo originario e grandioso impianto architettonico e spaziale.

   Da alcuni anni è in concessione alla Cooperativa Sociale “Verona Territorio”, che ha compiuto una prima opera di recupero con il completo disboscamento e ha avviato lavori di restauro con la finalità di restituire l’opera e le sue pertinenze all’uso pubblico, per attività culturali e del tempo libero.

Osservazioni:
   Nel quadro del paesaggio veronese, per il suo inserimento naturalistico e ambientale, il Forte di Santa Caterina era, ed è tuttora, un’architettura di bellezza impareggiabile. Si imponeva come caposaldo architettonico e prospettico della città fortificata per la sua posizione dominante, adattata con sapienza e calcolo al ciglione naturale, agganciata al corso dell’Adige, in relazione visiva con i forti collaterali, la cinta magistrale e i più remoti forti collinari, sulla riva opposta, a settentrione.

 

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