La grave instabilità politica europea culminata nell’anno 1830 (diffusione dei moti liberali e nazionalistici, rivoluzione di luglio a Parigi), faceva presentire il conflitto contro la Francia.
   La sicurezza dell’Impero absburgico era direttamente legata alla difesa del teatro di guerra meridionale, tra Lombardia e Veneto. Era opinione comune tra gli esperti militari, sulla base delle esperienze delle campagne del principe Eugenio e di quelle napoleoniche, che le linee del Reno e del Danubio si dovessero difendere in combinazione con quelle del Mincio e dell’Adige. Torre Massimiliana

   Nel 1831, le fortificazioni urbane della cinta magistrale di Verona si presentavano al generale Radetzky, Comandante Generale dell’Armata del Regno Lombardo-Veneto, come le avevano lasciate le truppe napoleoniche dopo le demolizioni degli anni 1801-1802. Secondo Radetzky la piazzaforte di Verona doveva diventare il centro di gravità della dominazione austriaca in Italia.

   Caduti i presupposti dell’urgenza, all’inizio del 1832, come consigliato da Franz von Scholl, si avviava lo studio di un assetto difensivo con fortificazioni permanenti, di muratura e terra. Nello stesso anno l’Arciduca Giovanni era a Verona per definire con Radetzky e Scholl l’ordinamento complessivo della cinta magistrale. I lavori, eseguiti dal 1833 al 1841, furono diretti dallo stesso Scholl e da Johann von Hlavaty. L’ordinamento a ritorni offensivi, a difesa attiva, era il punto di forza della cinta a destra d’Adige. Rimaneva tuttavia irrisolto il problema tattico del rideau, il terrazzamento naturale esteso da Santa Lucia e San Massimo fino a Chievo, dal quale il nemico avrebbe potuto ostacolare le sortite dalla cinta magistrale.

   La finalità delineata da Radetzky era di convertire la città di Verona in perno di manovra e piazza di deposito per l'armata in campagna, ma questo programma venne attuato in modo incompleto. La piazzaforte non poteva ancora essere in grado di sostenere autonomamente un assedio. Il suo compito era di sostenere, come piazza di manovra, le operazioni difensive e controffensive nel territorio tra i fiumi Mincio e Adige, con l’appoggio delle piazze di Peschiera, Mantova e, secondariamente, Legnago.

   Per conferire a Verona anche la capacità di resistere a un assedio, e renderla così idonea a custodire le risorse dell’armata (piazza di deposito), Scholl avvertiva la necessità di un ulteriore estensione fortificatoria con opere distaccate (forti). Egli delineava una prima formulazione difensiva proiettata all’esterno del corpo di piazza, riconducibile alla nuova teoria del campo trincerato ottocentesco a forti distaccati. I progetti degli anni 1834-38, non attuati per le limitazioni imposte dall’Erario Imperiale, prevedevano la disposizione di forti sul ciglione di Santa Lucia e sul ciglione di Santa Caterina per chiudere la grande ansa dell’Adige in corrispondenza di San Pancrazio, in modo da formare una poderosa testa di ponte offensiva.

   Nei lavori eseguiti dal 1837 Scholl persegue finalità più circoscritte. Prevale l’esigenza di eliminare le carenze tattiche e difensive della cinta magistrale. Sulla sinistra d’Adige, per impedire manovre di aggiramento a settentrione, già eseguite dai francesi nel 1805, nel 1837 si edificano sui crinali di San Giuliano (Monte Gaina) quattro torri casamattate, dette Torri Massimiliane, per riferimento alle torri di Linz, ideate pochi anni prima dall’Arciduca Massimiliano d’Absburgo-Este, eminente teorico dell’arte della guerra.

   Forte SofiaNegli anni 1838-1841, il campo trincerato collinare viene completato a meridione dalla sequenza di altri due forti, e da una torre massimiliana completa di recinto perimetrale. A queste opere viene assegnata l’ulteriore funzione di sottrarre al nemico posizioni dominanti prossime al settore occidentale della cinta magistrale, da San Felice a San Giorgio: le nuove opere sono situate sulle alture di San Mattia e San Leonardo.

   In ambito collinare, ma sul versante opposto, un piccolo forte viene edificato sull’altura Biondella (o Miondella) che non poteva essere battuta da nessuna posizione della cinta magistrale retrostante. Costruito nel 1838, il Forte Biondella batteva a tiro radente il versante orientale della collina, altrimenti coperto da un angolo morto, e impediva così al nemico di avvicinarsi alla cinta collinare, non visto, dalla Valpantena.
   Nel suo insieme, il sistema fortificato collinare controllava a occidente la Valle di Avesa, e la strada del Tirolo; a meridione la Campagnola; al suo interno la Valdonega; a settentrione i crinali delle ultime propaggini della Lessinia; a oriente la Valpantena.

   Le fortificazioni del campo trincerato collinare vengono collegate alla cinta magistrale da una rete di percorsi militari, adeguati al rapido trasporto di truppe e artiglieria ippotrainata. Celebre è la lasagna, che fuori Porta San Giorgio si inerpica, nella profonda trincea scavata nel vivo del tufo, verso il Forte Sofia e il Forte San Leonardo; il nome popolare deriva dalle corsie di pietra, tuttora presenti, atte a sopportare i pesanti carri dell’artiglieria.

   Nel progetto e nella costruzione degli otto forti collinari, Scholl affronta complessi problemi di adattamento alla morfologia del sito, assai accidentato, e li risolve con forme di sorprendente articolazione planimetrica e volumetrica. Inoltre, in base alle teorie settecentesche elaborate da Marc Renè de Montalembert (1714-1800), e prendendo spunto dalle antecedenti torri per artiglieria svedesi (1689-1731), elabora un originale modello di fortificazione a tracciato circolare, integrata a un recinto avanzato poligonale.
   Nel disegno di Scholl traspaiono anche i modelli dell’arciduca Massimiliano, per le torri di Linz (1831-1833), e le soluzioni quasi coeve per le torri costiere di Trieste e di Pola.

   Il medesimo programma di integrazione fortificatoria della cinta magistrale viene applicato anche in pianura. Sulla sinistra d’Adige, si impone la costruzione di un’opera avanzata per rendere compatibile la presenza del nuovo cimitero, in costruzione davanti alla cinta presso il Bastione di Campo Marzo. Una possente batteria casamattata su due piani, a segmento di torre (Segmentthurm), viene anteposta al cimitero, verso l’Adige. Costruito nell’anno 1838, il forte viene intitolato al luogotenente feldmaresciallo Scholl, che ne aveva dato il progetto.

   Sulla destra d’Adige, un grande forte viene situato nel settore settentrionale, accanto alla riva del fiume, davanti al fronte bastionato San Procolo-Spagna. La sua principale funzione era di battere la depressione dell’antistante spianata. Nell’imponenza d’impianto, il Forte San Procolo, costruito negli anni 1840-1841, richiama lo stile di von Scholl. Ne rispecchia anche la sua prima proposta, non attuata, per la difesa indiretta del ciglione Santa Lucia-San Massimo, da capisaldi fortificati collaterali: sull’ala sinistra la testa di ponte di Santa Caterina; al centro i tre forti davanti a Porta Nuova; sull’ala destra il Forte San Procolo avrebbe completato il sistema.

   Nell’architettura dei forti collinari, nei progetti non attuati per i forti di pianura, Scholl esemplifica in stile grandioso la nuova teoria fortificatoria del sistema poligonale misto, elaborato dalla scuola neotedesca nell’originale sintesi tra le teorie di Montalembert e Carnot.

   Franz von Scholl giunse al termine delle sue opere e della sua vita nell’anno 1838. Considerato il più eminente architetto militare dell’Impero, con spirito eclettico aveva sperimentato a Verona i nuovi sistemi di fortificazione, adattandoli al luogo, al terreno d’impianto, in accordo alle preesistenze della cinta magistrale.
   Egli trasmise un’eredità di sapienza costruttiva e urbanistica, di sensibilità estetica e paesaggistica che diede fondamento alla cultura fortificatoria absburgica, e che verrà messo a frutto nei successivi piani per i forti distaccati veronesi.
 

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