Cronologia:
[a] sec. XIX (prima metà): ristrutturazione di unità residenziali preesistenti.
[b] 1852-1853: è documentata la destinazione a caserma della casa comunale.

Committente/Progettista:
[a] Istituto Don Mazza / —
[b] Congregazione Municipale di Verona / —

Proprietà:
  Privata.

Descrizione:
   La caserma è individuabile nella cortina edilizia settentrionale di via Cantarane, a sud della chiesa di San Paolo di Campo Marzo. Si tratta di un edificio su tre piani, derivato dall’accorpamento di preesistenti unità residenziali probabilmente adattate, nella prima metà dell’Ottocento, alla sede dell’Istituto Don Mazza.
   Il fabbricato venne poi acquisito dalla Congregazione Municipale e dato a pigione a uso di caserma. L’impianto d’insieme, a blocco con androne centrale e corti interne, è riconducibile al tipo del palazzo residenziale. Tranne la disposizione di due scuderie, al piano terra, la destinazione a caserma non ha richiesto adattamenti.

Stato di conservazione:
   L’edificio, probabilmente restaurato o ristrutturato, ha conservato le caratteristiche architettoniche del prospetto ottocentesco, in stile classico.

Osservazioni:
   La caserma comunale Casa Don Mazza è indicata al n. 20 del repertorio degli edifici militari annesso alla pianta di Verona stampata nel 1850, rielaborata per uso militare negli anni 1852-1853. La caserma è inoltre indicata tra gli edifici militari di ragione comunale, al n. 193, nella pianta di Verona del Penuti, pubblicata nell’anno 1858, riedita nell’anno 1865.

  La destinazione a caserma della casa appartenente all’Opera Pia Don Mazza è documentata nella lettera scritta dal sacerdote e fondatore alla Municipalità di Verona. Dalla stessa lettera risulta che l’edificio, in uso all’esercito dal 1849, era precedentemente adibito all’allevamento dei bachi da seta, alla filanda, e alla residenza delle giovani accolte dell’Istituto le quali oltre all’istruzione scolastica apprendevano l’arte serica: le loro opere, soprattutto paramenti sacri, sono da osservare come veri capolavori. Scrive Don Mazza:

“AL MUNICIPIO DI VERONA - VERONA:
Verona, 26 maggio 1851.
Dal Gennajo del 1849 il Militare mi tien occupato un corpo di case, ridotte a Caserma, per cui passivo me ne ridonda un tal fondo; passivo per i pubblici aggravi, ai quali debbo sottostare; passivo pel lucro cessante, ch’io ho per questa ragione. In quelle case vi tenea più di cinquanta giovanette; avea tutti i locali necessarii per l’istruzione e per tutti i varj lavori delle medesime; avea luoghi per contenere più di tremille libre di Galette per la mia Filanda, nei quali luoghi prima coltivava parte dei miei Bachi da seta.

Dalla privazione di questo mio corpo di case me ne viene, che dovendo io occupare e per le giovanette, e per le scuole altri locali, da duecento oncie di semenza di Bachi, ch'io vi coltivava, a poco piu d'un terzo io son ridotto, e non posso più far lavorare tutta la mia Filanda, che è presso che a cento fornelli, perché mi mancano i luoghi da conservare tutti i bozzoli che occorrerebbero per tutta intera la medesima. Oltre al mio scopo principale che ho nella coltivazion dei Bachi, e nella Filanda, che è quello di dar ai miei Veronesi donne educate, ad atte a questi due tanto utili ufficii, nei quali essi non poco mancano; oltre a questo mio scopo, dico, io altresì ne ritraggo ogni anno il massimo provvedimento ai miei Istituti.

Per questo mio doppio danno adunque io ricorro al cuore dei miei concitadini. La lor bontà, e la lor carità mi hanno sostenuto fin qui. Dovrò temer che or m’abbandoneranno? Io mi ritrovo nel maggior dei miei bisogni. Mi rimane il peso, e mi vien meno per ogni parte il necessario provvedimento. È già da tempo, ch’io mi ristetti dall’accettare altri giovanetti ed altre giovanette; ciò basta, per non accrescere il carico; ma per quello che già v’è che debbo fare? Dovrò troncar il filo della educazione di tanti belli ingegni? Dovrò gettare sulla strada giovanette, appunto dalla strada tolte, ed avviate ora nella morale, e domestica civile educazione? Io non ho il cuore; tengo però più fermo ch’io posso; ma mi mancano le forze, se voi non le ristorate. Parlo a questo Inclito Municipio, che la mente e il cuor di tutti i Veronesi (unico mio scopo) in ciò ch’io faccio, potrei far cosa inutile e a lor discara. Per mezzo vostro adunque, o Municipio, ch’io conosca s’io m’inganni. Il vostro contegno sarà mia norma, che dovrò seguire, e seguirò.
Li 26 Maggio 1851”
(Ilvano Caliaro, a cura di, Nicola Mazza scritti, Verona, 2000, pp. 50-52)

 

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